Don Cafasso e Don Bosco Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
Seguendo la vita di Don Bosco, si trovano molti punti di contatto con il Santo compaesano, e furono contatti così importanti che decisero la sua strada e determinarono tutta la sua opera.
Terminati gli studi a Chieri Giovannino cominciò a pensare che la soluzione migliore fosse per lui l’entrare in un Ordine religioso: non preoccupazioni economiche, né ansie spirituali. Pareva lo attirassero di più i Francescani. A Chieri quei religiosi avevano un convento che egli talvolta frequentava: la loro vita semplice e frugale fatta di penitenza e di preghiere lo attirava.
Il parroco di Castelnuovo, saputo di queste intenzioni si mostrò contrario a tal punto da recarsi al Sussambrino ad avvisare la madre. «Voi non siete più giovane – le disse. – Fra qualche anno avrete bisogno di riposo. E allora chi vi accoglierà se vostro figlio sarà in convento? Se invece sarà parroco o vice parroco potrà aiutarvi». La mamma lasciò dire il vecchio sacerdote e lo ringraziò anche dell’avvertimento, ma il suo pensiero lo tenne per sé. Il giorno dopo era a Chieri dal figlio.
– Sentimi bene, Giovanni, io voglio che tu ci pensi a fondo. Una volta deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia a nessuno. La cosa più importnte è che tu faccia la volontà del Signore. Il Parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in futuro potrei avere bisogno di te. Questo non c’entra niente. Guarda che io da te non aspetto nulla e non voglio nulla, se non che tu viva da cristiano. Sono nata povera, son vissuta povera e voglio morire povera. Ricordati bene, Giovannino: se ti facessi prete e per disgrazia tu diventassi ricco, non verrei mai più a trovarti. Per niente al mondo entrerei nella tua casa!
La mirabile donna si strinse nello scialle e se ne tornò a Castelnuovo, a piedi, come era venuta. Alcuni giorni dopo, nell’imminenza della Pasqua del 1834, Don Bosco si presentava a Torino agli esami di ammissione dal superiore dei Francescani. Fu ammesso a pieni voti, e senza dubbio sarebbe entrato pochissimo tempo dopo nel convento della Pace a Chieri, se, recatosi a Castelnuovo per ottenere i documenti che gli occorrevano, qualcuno non gli avesse suggerito di rivolgersi per ultimo consiglio a Don Cafasso.

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Don Giuseppe Cafasso suo compaesano era più anziano di lui di quattro anni. Era stato ordinato prete da poco, ma già dal tempo del seminario si era acquistata tale fama di santità, che da lui si recavano per consiglio molte anime inquiete o turbate. Viveva a Torino, nel Convitto Ecclesiastico dove completava gli studi ed esercitava la carità assistendo i malati degli ospedali ed i carcerati.
Giovanni andò dunque ad esporgli il suo caso. Tutta un’esistenza – e quale esistenza! – si trovò a dipendere dalla decisione di quel prete di 23 anni. «Continuate i vostri studi – disse senza esitare e con grande calma Don Cafasso – ed entrate nel seminario. Poi tenetevi pronto a seguire la volontà di Dio». Quindici mesi dopo quell’incontro, Giovanni Bosco riceveva l’abito di chierico nella chiesa di Castelnuovo, in cui venti anni prima era stato battezzato. Cinque giorni dopo entrava nel seminario di Chieri.
In quel seminario restò per sei anni, nutrito, mantenuto, spesato dalla carità di tutti. Questa l’aveva già vestito da capo a piedi il giorno in cui prese l’abito ecclesiastico. Un benestante del paese aveva fornito la veste, il sindaco il cappello, il parroco il mantello e un altro parrocchiano le scarpe. Nei suoi anni di seminario era così studioso da guadagnare i premi di sessanta lire assegnate all’alunno con i migliori punti. Il resto della retta era pagato da Don Cafasso.
Egli stesso così dice del suo benefattore: «Oltre tutto il resto ciò che mi affezionava di più a quelle mura era il nome di Don Cafasso, il profumo delle sue virtù si spandeva per tutto il seminario».

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Dopo l’ordinazione di Don Bosco a sacerdote, egli passò alcuni mesi a Castelnuovo per sostituire il vice parroco assente, intanto pensava all’indirizzo da dare alla sua vita. Quale incarico ecclesiastico accettare? Gliene venivano offerti tre. Una famiglia di nobili genovesi lo richiedevano come istitutore dei figli con l’onorario di mille lire all’anno; i suoi paesani lo supplicavano di accettare il posto libero di cappellano a Morialdo; infine l’arciprete di Castelnuovo, don Cinzano, suo grande amico e benefattore, avrebbe desiderato averlo come suo coadiutore. Per tagliar corto e cercare in questa scelta la volontà di Dio, Don Bosco ricorse ancora una volta al compaesano Don Cafasso che gli disse: «Non accettate nulla. Venite qui a Torino a completare la vostra formazione sacerdotale nel convitto ecclesiastico».

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Tutto sembrava maturo per tentare il passo decisivo: fondare ufficialmente una congregazione religiosa. Diverse voci autorevoli gli dicevano che era giunto il momento di realizzare quello che era stato il sogno di tutta la sua vita.
«Fondate dunque una congregazione, mio caro Don Bosco – gli consigliava Giuseppe Cafasso, suo confessore. – Fondate una congregazione, se volete stabilire la vostra opera in maniera permanente».
E sarebbe anche partito per le missioni accompagnando il giovane Don Cagliero se Don Cafasso non l’avesse consigliato a restare a Torino per guidare la sua opera, che stava prendendo larghe proporzioni.
Come si vede da questi semplici ma decisivi episodi, spesso la parola rassicurante di Don Cafasso, suo confessore, bastava a risolvere i dubbi di Don Bosco.
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