La trebbiatura Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
Chi avrebbe detto che sarebbe sparito un lavoro così importante, colorito e bello? Ora la mietitrebbia porta a casa del coltivatore il grano pulito. Ma andiamo col ricordo a curiosare la scena della trebbiatura:
Chi cercava la cascina o il cortile dove si “batteva” il grano, aveva due segnali: un rumore profondo e ansante e il gran pennacchio di fumo e polvere che si alzava, depositando tutto intorno residui di pula e paglia. Nell’aia c’era un fervore continuo di lavoratori, tutti addetti alla loro mansione con tridenti e rastrelli. E tutto veniva svolto con continuità e attenzione per assecondare il lavoro della macchina, che ingoiava incessantemente covoni di grano e alimentava un piccolo rigagnolo di grano, che affluiva in un sacco aperto.
Gli addetti alla macchina non si occupavano di grano; per essi era solo importante che il motore funzionasse con regolarità e la cinghia trasmettesse la rotazione alla trebbiatrice. Essi occupavano i punti di pericolo per evitare incidenti; vestivano una camicia nera, sulle spalle un dito di polvere. Per prima cosa, giunti nell’aia, avevano dato la giusta collocazione alle varie macchine e ora pensavano già a quella successiva con strade e passaggi non sempre felici.
Tutti i lavoratori occupati in quell’aia erano amici, parenti o vicini del proprietario; era tradizione aiutarsi a vicenda: Guido aiutava sempre Giniu e viceversa; così Sandro e Nadin, come Mario e Tonio, e così facevano le donne. Sì c’erano anche le donne, che collaboravano con gli uomini e specialmente in cucina con la padrona di casa‚ che stava preparando il pranzo per tutti, sempre e veramente un buon pranzo.
Ma intanto il gran mucchio di covoni si era già molto abbassato, perché erano stati presi uno a uno col tridente e passati a colui o colei che li metteva con attenzione nella gran bocca della macchina, che li riceveva nel suo stomaco separando chicchi e paglia. E non c’era interruzione, anzi solo un attimo per accettare il bicchiere di vino o acqua che una ragazza passava a offrire, o per ricuperare le uova che una gallina aveva scelto di deporre tra quelle messi.
La sorte peggiore capitava ai topi, che per un po’ di tempo si erano nutriti, difesi e moltiplicati tra la paglia di quel gran mucchio. Ora si avvicinava la resa dei conti ed essi si ritiravano in una difesa sempre più limitata man mano che il mucchio di messi si rimpiccioliva. Ed ecco, mentre i giovani pronti alla battaglia contro i topi si armavano di bastoni e tridenti, vengono sollevati gli ultimi covoni: La fuga dei topi è generale, veloce, in tutte le direzioni. Tra le urla e i colpi, qualche topo rimane sul terreno, altri riescono a salvarsi per assicurare la continuazione della specie.
Il rombo della mietitrice, che aveva ingoiato gli ultimi covoni, si fa più lento rallenta ancora e tace. A quel punto erano tutti invitati ad andare verso l’acqua disposta in secchi e bacinelle per lavarsi. Ma era una lavata insufficiente, perché la polvere era penetrata ovunque, anche in gola e nel naso; era solo sufficiente per andare a tavola. Il padrone del grano dopo aver contato i sacchi pareva soddisfatto; la moglie aveva sistemato tutti a tavola‚ era soddisfatta anche lei, in quella giornata unica nell’anno agricolo. E così, quella che doveva essere una faticaccia, finiva allegramente, soprattutto per la compagnia e la solidarietà attiva di tanti amici, pareva quasi una festa!
E all’indomani era festa anche per le galline, che sarebbero tornate nell’aia, ove erano rimasti tanti chicchi al posto delle messi. Oggi l’operaio della mietitrebbia fa tutto da solo nel campo, lo fa con semplicità e serietà. Poi va a scaricare il grano in casa del proprietario e passa in un altro campo. Manca il colore dell’agricoltura; è quasi industria.
Ricordiamo vecchi trebbiatori: per tanti anni Minot Turco e i Bertagna, i quali, per essere distinti dalle molte famiglie Bertagna, erano chiamati “Quelli delle macchine”. E “Bertagna delle macchine” si sapeva che erano i genitori di Eugenio. Infine ci fu per molti anni Giulio di Capriglio. Con lui si chiuse l’epoca della trebbiatrice nell’aia.
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