La vecchia scuola Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
Mentre i tempi stanno cambiando la faccia dell’Europa e del mondo, spendiamo due parole sulla vecchia scuola di Castelnuovo. Per scuola si intende naturalmente quella elementare, poiché a Castelnuovo ci fu sempre e solo quella. L’istituzione della Scuola Media si può considerare recente (1960) e recentissima quella della Scuola Professionale (1970). La Scuola pubblica Elementare nel paese comprendeva le cinque classi, ma spesso nelle borgate si avevano solo le prime tre e i ragazzi venivano poi in paese (a piedi) per completare il corso (al mattino e pomeriggio).
Ormai nel nostro Comune sono scomparse ben cinque scuole per mancanza di alunni: Bardella, Nevissano, Ranello, Morialdo e Mondonio. Il pulmino ora raccoglie quei pochi scolaretti e li unisce a quelli del capoluogo, ove poi si formano classi non esageratamente numerose, anzi...
Ma torniamo indietro, molto indietro: le classi erano maschili e femminili con maestri e maestre. Ci furono insegnanti che segnarono un’epoca: i signori Chiardi, Ostino, Marsiglia... le signore Allamano, Pelissero, Marchisio... insegnarono per intere generazioni. E la materia prima non mancava, gli alunni erano anzi molto abbondanti.
Pensate che ai tanti ragazzi del paese si aggiungevano quelli del Collegio Paterno Don Bosco, una lunga fila; e durante gli anni di guerra 1915-’18 c’erano i “profughi”, quelli che poi si chiamarono “sfollati” nella 2ª guerra mondiale. Poveri maestri! Capisco ora quanto essi furono eroici e noi così birichini.
Ricordo che in terza 1918 eravamo oltre 60, in quel vecchio edificio, in quell’aula vecchia e pericolante. Sì pericolante, infatti ricordo le parole del maestro: «Ragazzi, non saltate troppo, se no andiamo tutti a finire nella classe di sotto».
Stavamo in banchi lunghi, gomito a gomito, si era 5-6 per banco. Il compito più arduo per gli insegnanti era la disciplina, anzi l’indisciplina; ed era naturale che una cinquantina di alunni, tutti maschi, tutti vispi creassero un problema.
Ed ecco l’anedotto: quel mattino il maestro Ostino era venuto a scuola con un progetto e lo annunciò: «Tutti voi, che siete in testa al banco da questa parte, siete Capo-banco; quelli dell’altra estremità sono Vice-capo-banco». In mezzo restavano 3-4 alunni senza gradi, chiamiamoli “Sudditi”. E finiva dicendo «Spero nella vostra collaborazione». Io intanto, lusingato per il titolo di Vice-capo-banco, mi accordai con il Capo: «Tu‚ sta’ attento di lì‚ di qui ci penso io». E invece di seguire la lezione del maestro‚ mi armai la mano di un portapenne, una scatola di legno con certi spigoli; e la tenevo a mezza altezza, pronto a colpire chi lo avesse meritato.
Ecco che un mio “suddito” si mise a parlare col vicino; era proprio quello che io aspettavo e patàff con la scatola di legno sulla sua mano. Il colpito si mise a strillare come un cucciolo bastonato, provocando l’intervento del maestro.
Quello piagnucolando spiegò l’accaduto, indicando me, la mia scatola e la sua mano (che poi non aveva nessun segno di ferite). E il maestro sequestrò il mio portapenne e ordinò che noi due ci scambiassimo di posto: io andai mestamente tra i sudditi e il ferito prese il mio posto di Vice-capo-banco, mentre il suo viso, prima piangente, ora brillava del più bel sorriso.
Così finì la mia carriera nella gerarchia scolastica e persi al primo giorno un incarico che avevo assunto con tanto gradimento.
Ma soprattutto svanì la speranza del povero e ottimo maestro Ostino che si era illuso di trovare in noi un aiuto.
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