Maestri e scolaretti Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
Educare e correggere è sempre stato un compito assai difficile, anche perché uno stesso metodo non può essere adatto per tutti i soggetti, è vero infatti che tutti i ragazzi hanno il proprio carattere, fossero anche della stessa famiglia.
Ma in quei tempi c’era un mezzo spiccio e sbrigativo, per correggere ragazzi e disobbedienti, era quello di dare il classico scapaccione.
Ora, così facendo, maestri e genitori rischierebbero di essere denunciati per violenza ai minori. Oggi piuttosto vige il sistema (non chiamiamolo educativo, per carità) di dare 10.000 lire al ragazzo, perché si sforzi di ubbidire.
È un sistema peggiore del primo, che, tra l’altro‚ conduce al ricatto e alla tangente. E parliamo dei vecchi maestri, quelli che hanno fatto scuola agli attuali ottantenni, e oltre...
Il maestro Ostino aveva un sistema tutto suo: il ragazzo poltrone, che non aveva fatto il proprio dovere, poteva sentirsi dire: «Dopo scuola verrai con me alla mia vigna, ti insegno io come si lavora». E toccò a molti alunni andare nella vigna del maestro a spostar pali, canne, sarmenti. Il maestro Ostino, stimato in paese come ottimo insegnante, era pure un gran lavoratore di campagna, capace di produrre e vendere centinaia di brente di vino (brenta = 50 litri).
Ma, come lavoratore agricolo, non gli era da meno il maestro Giacomo Musso; arrivava a scuola con aspetto serio, eretto, il suo passo sicuro nascondeva le ore di lavoro già svolte nella vigna; la sua voce era profonda e robusta, forse per essere stata risparmiata nel silenzio della campagna.
Allora nel paese c'erano solo le scuole elementari; l’orario era diviso: dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 16. Giovedì vacanza. Bisognava quindi essere puntuali due volte al giorno e sentire la campana della chiesa che suonava l'inizio.
Ma quel pomeriggio Silvio giunse il ritardo di circa mezz’ora; entrava con incertezza e il maestro Chiardi dalla cattedra: «È questa l’ora di arrivare a scuola? Come mai?». Silvio confuso in mezzo all’aula: «Abbiamo caricato il vino». Il maestro da minaccioso diventò interessato: «È quanto hai fatto?» intendeva dire: quanto avete preso alla brenta? E Silvio rinfrancato: «Ottanta lire». Il maestro con orgoglio: «Io cento! Vai al posto!». Il maestro Chiardi possedeva anch’egli un vigneto in ottima posizione. Sapeva quanto fosse importante l’operazione di caricare il vino.
Quel giorno il contadino riceveva uno dei pochi stipendi, spesso l’unico, per la sua fatica annuale. In quell’occasione le donne preparavano un bel pranzetto a cui partecipavano il compratore e il mediatore. L’unico a rimetterci le penne e la pelle era il gallo. Quindi la giustificazione per il ritardo di Silvio era più che plausibile.
Ma anche Piero un mattino arrivò in ritardo e per di più con le mani sporche. Al maestro Marsiglia che gli chiedeva il motivo, Piero rispose: «Quando suonava scuola, io stavo aiutando mio padre». E il maestro curioso: «E che lavoro faceva tuo padre?». Piero nel suo italiano rozzo: «Tirava il vino da sotto le rape».
Il buon maestro Marsiglia era comprensivo, e poi allora si viveva tutti nell’ambiente contadino e invece di ridere o di rimproverarlo, gli spiegò: «Quell’operazione si chiama spillare il vino dalle vinacce. Le rape in italiano sono ortaggi, da cui assolutamente non si “tira” il vino. Va’ al posto e, appena puoi, lavati le mani».
Sì, allora maestri e scolari vivevano tutti nella grande famiglia contadina e gli insegnanti erano tolleranti verso i ragazzi che fino da piccoli erano partecipi del lavoro famigliare e spesso, appena giunti a casa, buttavano la cartella e il grembiule per prendere le mucche e andare al pascolo.
Approfittiamo quindi di questo scritto per rendere onore alla classe insegnante castelnovese, che è sempre stata all’altezza del compito, anzi della missione intrapresa.
Ho solo parlato dei vecchi maestri, ma è ovvio che anche le maestre del paese ebbero il loro alto grado di bravura. Accenno solo alla dolcezza della maestra Pia Clotilde Allamano e alla Flora Peira, materna e solerte. Direi anche della cara Bordiglia, ma è vivente (e viva ancora cent’anni), e rischierei di commuoverla facendole ricordare le sue scolarette. E quante altre. Ma basti per tutte l’accenno alla maestra Benedetta Savio, che scoprì, alimentò e promosse la santità del piccolo Giuseppe Allamano.
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