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Sarà colpa della televisione, che
ci offre ogni giorno cantanti di valore e di vario genere, tutti migliori di noi; o sarà
per la vita che conduciamo, avara di gioie e di allegrie, fatto sta che non cantiamo quasi
più.
Il canto popolare era un fatto istintivo, quasi un bisogno e certamente una bella
tradizione in certe liete circostanze. E si cantava liberi, a tutto fiato, compiacendoci
in noi stessi di avere dei polmoni tanto robusti.
Una tradizione classica per i cantori era la serata dedicata allo spoglio della meliga,
sotto le stelle. E ci si invitava a vicenda: Vieni questa sera nel cortile del Tale,
si canta. E si passavano in rassegna tutte le canzoni, le solite, sempre più
vecchie, tramandate da tante generazioni, tutte di autore ignoto. (Adesso sono firmate
anche le canzoni!)
Immancabilmente il coro si divideva in due voci: Cera chi cantava da
primo con note più alte e chi faceva la seconda voce, di accompagnamento; ma
sempre rispettando larmonia e lintonazione.
Verso la fine della serata il padrone di casa passava con dei bicchieri e offriva del
vino, con più riconoscenza per il lavoro che per il canto. Con lultima pannocchia
finiva lultima canzone; saluti cordiali e auguri reciproci di buona notte.
Si cantava anche durante la vendemmia. Spesso da una collina si cantava per rispondere a
quelli dellaltra collina, che facevano la stessa operazione.
Il padrone della vigna ogni tanto incitava a vendemiare: Distacuma, distacuma!
che significa: Stachiamo uva, non fermiamoci per cantare. Ma egli era pure
compensato dal fatto che cantando non si piluccava luva. Cera per lui il pro e
il contro.
Non era raro allora il caso di sentir cantare passando davanti a un locale in cui si
beveva. Talvolta passando davanti alla trattoria di Candida si sentiva un bel coro, si
vede che si erano incontrati gli amici, e tra essi si distingueva la voce di Menico del
Mutin; e Candida non solo tollerava, ma alimentava il canto rifornendoli... di carburante.
Si partiva per una gita? Prima di salire sul pullman ci si accordava: Stiamo vicini
che poi canteremo. E dopo pochi chilometri... avanti con Moretto e Quel mazzolin di
fiori... E la gita prendeva colori e allegria, la strada era più breve e le vedute più
pittoresche. Oggi questo capita ancora se tra i partecipanti ci sono Baldino e Vitaliano
di Bardella; con loro lesito della gita è assicurato.
La stessa cosa capitava al termine di ogni pranzo e più ancora a una cena. Gli amanti del
canto si ritrovavano in capo a un tavolo, apparentemente non si curavano se qualcuno
riempiva il loro bicchiere, tanta era la foga del canto; e le ore passavano, finché alla
fine il vino tradiva larte. Oggi questo capita ancora se il prof. Andriano Felicetto
partecipa alla cena con la chitarra o la fisarmonica.
E non si cantava solo in questi casi, ma il canto aveva il suo bel posto a scuola e
soprattutto in chiesa, certo con toni più educati e con la guida del maestro o del
pianista. Comera solenne e festosa la Messa cantata e non credo che ne soffrisse la
devozione. Cera il coro istruito a due o quattro voci. Da quanto tempo non si sente
più una Messa con Gloria e Credo cantata da un coro a più voci!
Ora solo quando cè la messa degli sposi talvolta cè una voce che canta
lAve Maria. E poi ogni domenica ci limitiamo a seguire la liturgia della messa,
accompagnata dallorgano di Pina.
E non cera teatro o spettacolo senza la macchietta, una canzoncina spiritosa cantata
da un allegro specialista: Marchisio Nolu o il piccolo Bertagna Angelo. Farei un grave
errore se non ricordassi quelli che si distinguevano per il canto e la frequenza in tutte
le funzioni, messe, processioni... Erano i figli del maestro Giacu, i fratelli Evaristo,
Giovanni, Edgardo, vere colonne del canto ecclesiastico.
Per il tempo presente citiamo il maestro prof. Davò come gran cultore del canto corale
classico e lirico. |
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