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Musso Annibale, alto, serio, col
sigaro tra le labbra era il proprietario del caffè pasticceria. Quando il centro del
paese era alla Fucina, il caffè di Nibale era al centro della piazzetta ora intitolata al
Card. Cagliero. Il vecchio esercizio era prima chiamato Flaviano, il padre di Nibale, e
quel nome resistette a lungo, specialmente tra le vecchie famiglie della Fornaca. Ora il
locale non cè più e piazza Card. Cagliero è solo più un passaggio obbligato; ma
ci fu un tempo in cui, oltre al bar, alla Fucina cera il tabaccaio, la posta, la
farmacia, il sarto, il negozio di stoffa di Andriano, la macelleria Filippello, il
cappellaio, lesattoria... e non nominiamo più altri, anche se la lista non è
finita. Ora pare incredibile!
I ricordi infantili mi riportano ancora a quella vetrina, davanti alla quale ci fermavamo
ogni mattina andando a scuola: cera sempre al centro un vassoio di bignole col
prezzo, 60 centesimi luna (corrispondeva a 12 soldi; una lira = 20 soldi), il prezzo
era proibitivo per noi ragazzini; ma ci accontentavamo di guardarle dietro i vetri.
Cerano poi torte e paste dolci. Un anno, verso Pasqua in quella vetrina comparve un
uovo di cioccolato, era dritto, alto, scoperto, sarà stato quasi trenta centimetri. Tutti
passavano a vederlo e noi ci chiedevamo Chissà chi lo comprerà?, ma rimase
invenduto; si disse che fu poi venduto a pezzi a peso. Altri tempi!
Nibale, come pasticcere, era famoso per aver inventato i mentin. Erano
quadrettini neri fatti con liquirizia e menta, piccoli come pastiglie, erano venduti in
una bustina elegante. Ma gli acquirenti, come i clienti del bar, non sono mai stati molto
numerosi.
Aprendo la porta, questa spingeva un campanello, che col suo din-din avvisava che
cera un cliente e ci si trovava in un negozietto fresco e buio, poi si distingueva
il tavolo e dietro lo scaffale con vasetti e arborelle... ma appena il campanello
annunziava lentrata di qualcuno, una voce proveniente dal buio diceva:
Ciarea!.
(Ciao e ciarea sono saluti dialettali piemontesi; il primo lo si rivolge ad amici, il
secondo a persone di riguardo; erano come il tu e il lei).
Quel ciarea pronunciato da Rosalia, la cameriera anzianotta, voleva dire:
Eccomi, sono qui, desiderate qualcosa? e infatti posava sul tavolo i ferri e
la lana con cui stava lavorando e si disponeva a servire.
Ma più della pasticceria, più dei Mentin, Nibale era famoso per il salone. Ci si entrava
attraversando il negozio e un corridoio stretto e buio. In quel salone passavano tutti i
giovani che festeggiavano i 18 anni (i consegnati) e i coscritti nel giorno della visita
militare. Che serate da favola! Lorchestrina suonava, i giovani facevano i primi
balli, un po goffi, rivedevano le compagne lasciate nelle scuole elementari, le
osservavano, vestite per loccasione e al culmine della serata eleggevano la più
bella, la reginetta della leva! Che serata magica, per la reginetta e per gli elettori!
Credo che la miss della nostra leva, Teresina del Cascinotto, ricordi ancora quelle
veglie.
In quel salone di Nibale, da semplici ragazzotti impacciati, si diventava di colpo
protagonisti, al centro dellattenzione dei presenti, del paese, delle chiacchiere
dellindomani. Nelle quali si sapeva anche dire chi era stato abile o rivedibile
nella visita militare, o riformati, con le cause della riforma.
Poi forse per anni non si entrava più in quel salone, neppure nel bar, si viveva del
ricordo di quelle due-tre sere.
Il salone di Nibale finì di essere usato quando si notò che il pavimento di legno non
era più sicuro. Ora è casa di abitazione, divisa in alloggi; il vecchio negozio fa da
entrata. E il nome Nibale può ancora indicare un sito, una zona. |
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