Mestieri e figure scomparse Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
OMBRELLAIO

Non è mai più passato da queste parti quell’ombrellaio, che spuntava in piazza con un ombrello sotto il braccio e si annunciava con un grido “Parapiuvèee!”. Egli passava casa per casa offrendo il suo servizio e intanto raccoglieva vecchi e logori ombrelli che le massaie gli affidavano. Poi si fermavano sotto l’Ala o in un angolo della piazza e svolgeva il suo lavoro cacciando le mani e gli occhi in un ombrello aperto che faceva rotare tra le gambe.

CADREGHÈ

Così non abbiamo mai più visto né sentito quell’uomo che passava con un braccio infilato nel telaio di una vecchia sedia gridando “Cadreghèee” e raccoglieva sedie spagliate e le radunava in un angolo del paese. Quindi si sedeva su uno sgabello, ne teneva una tra le gambe e, torcendo una paglia, ne faceva un cordone che poi intrecciava al fondo della sedia, la quale presto diventava... come nuova. E noi ragazzini lo osservavamo con interesse e curiosità, come avessimo voluto rubargli il mestiere. Egli non parlava, lavorava veloce e sentiva di avere tutta l’ammirazione di noi piccoli osservatori.

MANISCALCO

E com’era interessante vedere il maniscalco (Feracaval) al lavoro! Con quanta dimestichezza trattava il cavallo! Alzava uno zoccolo dell’animale, se lo metteva su un ginocchio protetto da un grembiulino di cuoio e lavorava con la lima, con le tenaglie, con un ferro rovente, poi scaldava e modellava il ferro e lo inchiodava all’unghia del cavallo. Che lavoro strano e impressionante! Era arte? Era chirurgia? Quanta maestria nel battere su quell’incudine e provocarne suoni limpidi come quelli di una campana! Infine il cavallo se ne andava con le nuove calzature.

ACCIUGAIO

Sono passati tanti giovedì e tanti anni e non è mai più venuto quel simpatico acciugaio. Aveva tutto il suo negozio sopra un piccolo carretto. Arrivava a piedi da un paese lontano tra le piccole stanghe del suo carretto; lo tirava sul selciato fino all’angolo della macelleria di Nandu Filipello e scaricava un barile di acciughe, della carta gialla già tagliata, un piccolo peso a mano e... nient’altro. Lo chiamavano Custans; dopo Messa Prima era già pronto per i clienti. Pesava e vendeva sempre e solo acciughe, e prima ne scuoteva il sale che poi restava tra le pietre del selciato. E se ne ripartiva tra le sbarre del carretto un po’ alleggerito, con qualche lira in tasca per una meta misteriosa.

ARROTINO

Le strade e le piazze allora erano solitamente silenziose: e sfido, passavano due o tre macchine al giorno, oltre la corriera. Spiccava quindi nel silenzio il grido del “Mulita, mulita!”. Era l’arrotino che annunziava il suo arrivo. E passava in ogni contrada: «Fumne, c’è il mulita». E teneva tra le mani forbici e coltelli; sistemava il suo minuscolo laboratorio in vista, in piazza e si metteva al lavoro. La sua attrezzatura era molto semplice: con un pedale faceva girare una ruota di bicicletta che provocava la rotazione di una mola. E ci metteva molto impegno, si interrompeva per osservare il filo della lama e la ripuliva con uno straccio nero e unto. E infine provava a tagliare un pezzo di carta, se l’esperimento riusciva, il lavoro era stato ben fatto.
Queste e altre figure paesane, semplici e pittoresche sono scomparse. Erano scenette che suscitavano una curiosità che era quasi ammirazione tra i ragazzi di quell’epoca lontana; per i ragazzi, che allora non erano intrattenuti dalla televisione, erano le poche piacevoli distrazioni.
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