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Sono figure scomparse, tipiche dei nostri paesi. È necessario però puntualizzare che allora c’erano sempre molti ragazzi per le vie e piazze del paese e per la campagna; il motivo è che non c’erano scuole oltre le elementari, l’oratorio funzionava solo nei giorni festivi e soprattutto non c’era la TV. I ragazzi erano però pronti e felici di carpire le novità nella monotona vita quotidiana del paese.

LO STAGNINO da noi era chiamato “magnin”; era un modesto lavoratore ambulante; portava con sé quei pochi attrezzi utili a compiere quei pochi suoi lavori. Di solito prendeva posto al Funtanass, in quel largo spazio tranquillo ottenuto dall’incrocio tra le vie Chivasso e Vittorio Emanuele. Prima di mettersi all’opera, faceva un doveroso giro per il paese, annunziandosi col grido: Magnin! e si caricava di quei pochi utensili da cucina che le massaie gli affidavano: pentole, padelle, posate... Accendeva il suo focherello, faceva azionare un piccolo mantice, si serviva di bottigliette contenenti liquidi misteriosi e rendeva tutto lucido, saldato, riparato e pronto all’uso.

IL CAPRAIO è stata la figura che più ha colpito per certi lati la mia, la nostra fantasia infantile. Giungeva in paese ogni autunno avanzato per affidare le sue capre ai contadini durante l’inverno; e tornava ogni primavera a riprendersele.
Arrivava con passo calmo e maestoso alla testa del suo gregge belante, cacciato dalla neve che aveva già coperto i pascoli, su cui avevano trascorso l’estate.
Ma più che il belare delle capre e l’abbaiare dei cani, il suo arrivo era annunziato dalla cantilena festosa di noi ragazzini: Le crave, le crave...! E il capraio si fermava in piazza, sul marciapiede‚ davanti alla vetrina di Elide (ovviamente allora non c’era Elide). Lo ricordo bene: pareva un monumento, eretto, con le mani appoggiate ad un bastone e le capre tutte intorno disposte al riposo.
Mi viene ora il dubbio che i contadini fossero stati avvisati del suo arrivo, perché eccoli arrivare, uno, due, tre insieme, dalle cascine, dal paese, dalle borgate.
Facevano poche parole col pastore, legavano una capra o due con una funicella e se la tiravano via. Intanto il capraio scriveva qualche parola su un blocchetto.
Il patto era semplice: se nell’inverno la capra farà il capretto (e il latte), questo sarà il compenso per il mantenimento; altrimenti in primavera il contadino avrebbe ricevuto un compenso per la capra che... avesse solo mangiato.
E quanti miei amici andavano col padre a prendersi la capra e se ne andavano spavaldi ostentando con piacere il loro privilegio!
E io li guardavo e soffrivo di una invidia tremenda. E per non crepare d’invidia, correvo dai miei genitori (commercianti) e li imploravo: «Prendiamone almeno una, non si paga nulla!». Ma avevo la solita risposta, che era un’altra domanda: «Dove la mettiamo? Al tuo posto?». E ogni autunno provavo la stessa delusione.
Ricordo con vera nostalgia quel capraio, lui e i suoi animali scesi dalle montagne; era una figura simpatica e insolita per il nostro paese. Per i ragazzi di quei tempi, non avvezzi a grandi emozioni, erano come abitatori di un altro mondo.
Infine il capraio se ne andava da solo, col bastone inutile, seguito da due cani ormai superflui.

LO SPAZZACAMINO. Per i ragazzi di un paese abituati a vedere sempre le stesse persone, di cui conoscevano il solito cappello e i soliti vestiti, pensate che sorpresa vedere passare in piazza gli spazzacamini! Erano sempre in due, di cui uno era un ragazzino e l’altro poteva essere suo padre o un fratello maggiore.
La caratteristica d’obbligo era la faccia immancabilmente nera di caliggine, era forse la loro insegna. Gridavano a turno “Spacia furnel”. Portavano in spalla una corda nera e un misterioso attrezzo a molle, irto di punte metalliche.
Raramente erano chiamati a prestare la loro opera, poveretti! Per noi ragazzi infatti quella dello spazzacamino era una figura che suscitava una certa simpatia mista a pena, anche perché in quei tempi si cantavano canzoni (una famosa del card. Cagliero) e si leggevano brani che presentavano lo spazzacamino in tono patetico.
In verità da tanto tempo non si sono più visti passare “Spacia furnel” da queste parti. Puliranno ancora camini? O forse avranno constatato che giocare al calcio si è pagati meglio...
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