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Erano chiamati Quelli
dellAristocrazia senza nessun riferimento al significato del termine di
origine greca. Né erano chiamati così perché avessero origini nobiliari, e neppure
perché avessero mansioni di comando, erano semplicemente... non contadini, il ceto più
modesto, laborioso e numeroso.
Adesso li chiamerebbero i dignitari o meglio con un nome francese
lélite. Erano famiglie di discrete possibilità economiche, che
svolgevano una professione per la quale era necessario un titolo di studio, o erano
semplicemente dei possidenti.
Ricordiamo qualche nome: Albini, Diotti, Conti Clerico, Orsi, Morteo, Aliberti...
qualche Filipello, qualche Turco, Ostino... Erano famiglie che abitavano la parte vecchia
del paese. I giovani erano legati tra di loro da grande amicizia e, quando scendevano in
piazza ragazzi e ragazze (gran parte studenti) si distinguevano per la loro conversazione
allegra e affiatata e per il comportamento distinto e disinvolto. Però... non legavano
con altri.
Forse era un residuo della distinzione dei ceti di epoca più antica. E la gente dicendo
«quelli dellaristocrazia» non lo diceva con ironia, ma con tutta naturalezza, anzi
con rispetto.
Ora quelle distinzioni certamente non esistono più.
È superfluo dire che non facevano nulla di male, per carità, anzi essendoci tra di loro
chi aveva un buon grado di istruzione letteraria e cultura musicale, si organizzarono e
produssero ed eseguirono una commedia musicale, con parole e canti di loro creazione, in
dialetto castelnovese: Castelneuv ca bùgia, i cui brani principali sono tuttora cantati
dai vecchi castelnovesi, come «L ciuchè dla Madona».
Nello stesso spettacolo la piccola Marcella Aliberti recitava la poesia «Vej
Castelneuv». Nelloperetta, che ebbe localmente enorme successo, cera
umorismo, sentimento, affetto per il paese e nostalgia da parte di chi ne era lontano.
Oltre alle battute su Castelnuovo, erano nominate e cantate le caratteristiche delle
singole frazioni: «Cui di Mistrass, la val di merlu... Cui di Bardela
cartunè fin che beivu l vin e a lassu lacqua d sulfu per cui
d Turin. Cui dan Ranel, fan poc ciadel, ma a lhan le bute dusse
cume lamel (il miele)... ».
Divennero canti popolarissimi tra i castelnovesi dellepoca.
Un altro fatto, che però era veramente poco simpatico, ma che dimostra che allora
cera ancora una certa distinzione tra i ricchi e i poveri, era lusanza dei
più abbienti di riservarsi un banco o una sedia per le funzioni in chiesa, scrivendovi
sopra il proprio nome e pagando un affitto al Parroco. Così la poveretta che
occupava un banco... affittato, rischiava lumiliazione di dover lasciare il posto se
giungeva la Signora!
Adesso queste cose farebbero inorridire.
Ho però un ricordo lontanissimo e meraviglioso, un avvenimento in cui vi fu lunione
spontanea e fantastica di tutti i Castelnovesi: è il lontano e famosissimo 4 novembre
1918. Quel giorno la notizia della fine della guerra si diffuse in un baleno; suonarono le
campane; verso sera la popolazione, senza alcun ordine, invase confusamente la piazza Don
Bosco. Cera, come in tutto il paese, una crescente animazione, forse cerano le
autorità, cera certamente la banda musicale diretta dal maestro Bosco, che eseguì
tra tanto entusiasmo alcuni inni.
E, quando Flavia Osino e Marcella Capella (due signorinette del ceto trainante) intonarono
Fratelli dItalia, si alzò dalla piazza un coro possente e allo stesso
tempo commosso, nel segno della gioia e della pace finalmente raggiunta! |
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