Le galline Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
Ora anche il modo di rifornirsi di pulcini è tutto cambiato: è sempre più in uso da parte delle massaie l’acquisto dei pulcini nei negozi specializzati.
Nel tempo che si giudica più opportuno si entra nella bottega e si prenotano, con preferenze diverse, tanti di questo colore, tanti di quell’altro, tutte femmine, misti, da carne, da uova… E si ritirano il giorno stabilito con relativo mangime per i periodi di allevamento.
E le nostre galline? e il nostro gallo? e le accanite chiocce? Non resta loro più nulla da fare! Il sistema usato dalle vecchie massaie è solo più un nostalgico ricordo. Sì, ricordo che allora per le massaie era un’ambizione essere dotate di un bel pollaio.
Si allevava anzitutto un bel gallo (raramente due) che era il risultato di una attenta selezione: doveva avere una cresta diritta e alta, un bel piumaggio, un canto solenne e un portamento regale, da vero re del pollaio. Se la massaia non ne aveva uno con tutti questi requisiti, faceva cambio con un’amica che disponesse del soggetto desiderato. Quando si decideva di avere la covata di pulcini, si guardava se la luna era favorevole (questo non l’ho mai capito) e si sceglievano le uova, dovevano essere di grandezza media, con il guscio regolare, senza difetti.
Si preparava un nido soffice in un angolo nascosto e vi si mettevano con cura le uova in numero tra i 14 e i 18, secondo la mole della gallina e si metteva la chioccia sopra con gran riguardo. Si scriveva nella data di quel giorno la parola “pulcini” sull’almanacco e si aspettava 21 giorni.
La chioccia scelta era quella già disponibile nei primi mesi primaverili, che non fosse giovane, meglio se recidiva. Se c’era una chioccia in più, la si imprestava all’amica, che poi aveva la gentilezza di restituirla con un pulcino o due, secondo l’usanza. La chioccia seguiva e proteggeva i pulcini, finché non li vedesse capaci di fare da sé e, quando essi erano autonomi, lei riprendeva a far uova.
Non era raro il caso che una gallina, dopo aver fatto un po’di uova in un nido isolato, decidesse, senza guardare la luna, di covare le sue uova e scendesse al pagliaio con una brigata di pulcini, tutti suoi. Quei pulcini facevano l’ingresso in società, cioè nella vita del pollaio, con il legittimo orgoglio paterno del gallo, che vedeva così aumentare il suo reame con quei soffici e vispi batuffoli pigolanti.
Con quanto orgoglio le contadine al mercato del giovedì ostentavano i loro polli! Stavano allineate dietro la propria cesta, dai cui spiccavano due o tre bei galletti o “pule” in attesa che passasse il compratore. I polli invenduti erano ceduti al “pulaiè” che li gettava alla rinfusa in un ampio cestone rotondo e basso.
Ora i pulcini, a causa del progresso, nascono in un cassetto dell’incubatrice, quindi passano da una scatola a una gabbia e sopratutto non sanno chi chiamare mamma, nessuna gallina li raccoglie sotto le ali calde; sono costretti a scaldarsi al tepore artificiale di una lampada elettrica!
E quelle pollastre, figlie del progresso, non sapranno mai fare il verso caratteristico della chioccia, perché non l’hanno mai sentito e perciò mai imparato; quindi non si disporranno mai a fare una covata, che del resto è ormai una funzione inutile e superata.
Però, se è cambiata l’origine dei pulcini, è rimasta immutata la fine dei polli, che, al termine della loro breve vita, finiscono sempre in pentola.
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