I Carrettieri Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
Una sera di tanti anni fa Mario Graglia, conosciuto come Brichet, perché proveniente dalle cascine Brichet di Bardella, stava preparando il carro per partire con la sua merce varia per Torino. Lo aiutava la sorella, una bella ragazza, vivace e simpatica. E Mario, porgendole una cesta, disse «Pinota, questa cavagna va in corso Vigevano».
Partiamo da questa frase per parlare dei “cartuné” (conducenti, carrettieri).
Anzitutto oggi più nessuno deformerebbe il nome di Giuseppina nel diminutivo Pinota. Ora è più probabile che il nome diventi Giusy e il maschile Pinuccio e non più Pinotu.
Dunque Mario e Pinota stavano caricando il carro, che nella notte sarebbe partito per Torino tirato dai cavalli. Erano “cartuné” che facevano il trasporto per qualunque cliente in giorni fissi della settimana e sul carro collocavano merce varia: pacchi, damigiane, botticelle, ceste... tutto quanto portava la gente e la disponevano sul carro secondo un itinerario che avrebbero percorso in città seguendo gli indirizzi.
Immaginiamo che in quella cesta non ci fosse merce di gran valore, per affidarla a un trasporto così poco sicuro; forse c’erano zucchini o fagiolini, che i genitori mandavano alla figlia sposata in città. Oggi il padrone di quella cesta, l’avrebbe messa accanto a sé sulla macchina e sarebbe partito per corso Vigevano. Ma allora... le macchine... erano rarità!
C’erano poi in paese molti cartuné generici, quelli disposti a fare i trasporti più vari, in qualunque tempo. E trasportavano vino, legna (quanto uso, allora!), mattoni... insomma tutto quello che viaggia in camion.
Il negoziante andava in città a fare acquisti e al fornitore diceva: «Portate la merce nello stallaggio di via Tal dei Tali al conducente di Castelnuovo». Oppure dava l’ordine di qui al cartuné di passare in quel magazzino.
Il vino era caricato nella cantina del produttore e le botti (bunse) tasportate ovunque. Era usanza che il contadino regalasse al cartuné un assaggio del vino e gli riempiva il “barlet”, una piccola botticella che ogni carrettiere teneva nel cassetto del suo carro.
Bardella aveva fama di avere i migliori cartuné, anzi non penso che ve ne fossero nelle altre borgate: Ranello, Nevissano e Morialdo. Lo conferma un ritornello locale famoso in quell’epoca: «Cui di Bardella, cartuné fin...» e continuava dicendo: “Bevono il vino e lasciano l’acqua solforosa per quelli di Torino”. L’aggettivo “fin” non è il più adatto per i cartuné, ma l’autore l’ha messo solo per fa rima con “Vin e Turin”.
Alti carrettieri famosi erano quelli di Passerano, gli Omegna della fraz. Baciccia. Attraversavano la nostra piazza accanto ai loro bei cavalli e facevano schioccare la frusta con una maestria che pochi sapevano imitare.
I cavalli andavano rifocillati e per ogni viaggio il cartuné prendeva il fagotto del fieno e... la pietanza (biada). Quando si dovevano affrontare salite, come quella di Moriondo, con un carico pesante, si chiedeva l’aiuto di un cavallo da “traino” che si aggiogava davanti al proprio, per la somma di 5 lire. C’era chi in paese teneva il cavallo solo per quel compito e faceva, a richiesta, il solito viaggio Castelnuovo-Moriondo, per il solito compenso di 5 lire.
La vita del cartuné aveva i suoi disagi: viaggiare di notte su strade ora fangose, ora con buche e ciottoli, in città occorreva conoscere le vie e di notte c’era sempre il pericolo di brutti incontri.
Il ricordo più emozionante è quello dei cavalli che trainavano carri di ghiaccio, preso dal lago di Buttigliera, e destinato al macellaio Nandu Filipello (lassù), che ne riforniva la proprioa ghiacciaia. Nella salita che porta al negozio i 2-3 cavalli si sforzano di avanzare, scalpitavano sotto i colpi di frusta e i loro zoccoli facevano scintille sul selciato di allora.
E infine il nostro simpatico cartuné cessò di offrire da bere agli amici direttamente dal suo “barlet” (ci voleva una bella confidenza!), dopo tanti anni e dopo tanti viaggi, un bel giorno prese la patente di guida, smise i simboli del cartuné, gli stivaletti e al cintura di matassa colorata, attaccò la frusta alchiodo e diventò camionista e la sua stalla divenne rimessa.
Così successe a Mario Brichet, ai Musso Citot, a Cagliero Gianela, ai Musso Cichin e Talin di Bardella e a tanti altri.
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