"Castelneuv ca bugia" Indietro Ritorna a Elenco Racconti Avanti
Parecchi anni fa, verso il 1920, subito dopo la Grande Guerra, un gruppo di volenterosi giovani castelnovesi, studenti e diplomati, formarono una affiatata e organizzata filodrammatica che si distinse nella produzione e rappresentazione di diversi lavori teatrali. Negli spettacoli c’era brio, gagliardia, umorismo, ma soprattutto amore per il paese.
Lo spettacolo che ebbe maggior successo fu la rivista “Castelneuv ca bugia” rappresentata e ripetuta numerose volte. Quel lavoro “umoristico-satirico-sentimentale” era stato composto da loro stessi e musicato da Centino Dietti, il figlio del medico, allora studente liceale, esso diede occasione di scoprire in molti di essi delle doti artistiche e attitudine all’arte delle scena, benché fossero solo attori improvvisati e occasionali.
Alessandro Turco, allora reduce capitano; precursore dei migliori imitatori attuali, si produsse in una brillante macchietta sulla vecchia “Lusiin”, così Pinin Filipello, perfetto Carrettiere, tipo Cavalleria Rusticana.
In tutti c’era passione, bravura e impegno, benché tutto avesse inizio e fine in quella occasione. La rivista svolgeva temi di attualità castelnovese: voci, pettegolezzi, desideri... allora in voga per il paese, che allora era molto famiglia. La Ferrovia, la Fonte Solforosa, l’Acqua Potabile, il Cimitero, le Scuole (i cinque vecchi progetti) e le Finanze Comunali sempre dissestate...
Le strofe e i ritornelli, cantati da singoli e dal coro, piacquero talmente che la gente li cantava nelle varie occasioni e tanti anziani ricordano ancora oggi quei versi e quella musica molto bella e orecchiabile.

I CINQUE PROGETTI - Il coro era formato da cinque cantori, ognuno rappresentava un “progetto”, ma tutti insieme cantavano il ritornello: “Cinque, tutti cinque i progetti siam. I progetti un po’ vecchietti, che mai arriviam. Cinque, tutti cinque i progetti siam.” Quindi ognuno di loro cantava e decantava ironicamente il “Vecchio progetto” che erano le aspirazioni popolari di quei tempi, opere progettate e tante volte promesse e sempre da realizzare. Ma eccoli uno a uno:
1) LA FERROVIA - Si erano illusi i Castelnovesi che dovesse arrivare la ferrovia fino al nostro paese. Lo promettevano i politici nei loro discorsi elettorali. E la gente la sognava: doveva scendere da Buttigliera e fare stazione presso la Valmartina. C’era chi sognava già la locomotiva pulsante col pennacchio di fumo.

2) LA FONTE SOLFOROSA - Si sognava e si era promesso di fare un grande albergo con stabilimento idrico a Bardella presso la fonte solforosa, quasi come a Montecatini o a Fiuggi per valorizzare la nostra acqua... miracolosa! Ma il sogno... ahimé! Era troppo grande e restò sogno.

3) L’ACQUEDOTTO - Ora l’acqua potabile c’è, ma pensiamo quanto era desiderata allora da chi aveva solo il pozzo e non sempre fornito d’acqua per sé e per il bestiame.
Per capire quanto sia preziosa una cosa, bisogna esserne privi, sentirne la necessità. Ora lo capiremmo se mancasse l’acqua o la luce. In quegli anni le Amministrazioni del Comune e della Provincia avevano promesso l’Acquedotto... e non arrivava mai! I nostri generosi contadini offrivano facilmente del vino all’ospite, ma l’acqua no!

4) LE SCUOLE - Adesso abbiamo le scuole nuove, le Elementari e la Media e Professionale. Allora c’era solo la scuola elementare in edificio pericolante e con le aule insufficienti a contenere tutte le classi; bisognava far ricorso all’Asilo e all’Oratorio vecchio.

5) II CIMITERO - Anche questo progetto oggi è realtà: c’è l’ampliamento e il miglioramento della parte vecchia, con due entrate e relativa sosta. Ma allora lo si invocava e in quella rivista si consigliava... di non morire in attesa di quello nuovo.

        Cinque, tutti cinque i progetti siam
        I progetti un po’ vecchietti che mai arriviam....

E la gente approvava, rideva e applaudiva. Anche alla scuola si imparavano e si cantavano quei ritornelli.

IL CANTO DELL’EMIGRANTE
It salutu giuchè d’la Madona,
it salutu mi partu duman.
Cherdia nen cam’na feisa a lasete
cume ades che im na vadu luntan.
Quand tue cioche fasiu baudetta,
smiava ’d sente na vus a ciamè;
e i paisan a lasavu le vigne
e turnavu a sua cà a ripusè.
Ades ch’it lassu - an piura al côr
cume scuteissa - quaicos ca mör
ma smia ad parte - ’d pi nen turnè:
’ncura ’t salutu - ciau ciuchè.

CORO
O d’la Madona - nost bel ciuchè,
cule tue cioche - fa pura sunè.
Cule tue cioche - as sentu luntan
cule tue cioche - ca fan din dan.

CANTO DELLE BORGATE

    (Ranello)    Cui d’an Ranel
        fan poc ciadel,
        ma a l’an le bute dusse
        cume l’amel.
    (Nevissano)    Nui disgrassià
        suma stermà
        lassu ’n t’la val di merlu,
        povra burgà.
        Nostra burgà
        vin a carà
        ma per amnelu via
        jè gniune strà.
    (Bardella)    Cartunè fin
        beivuma ’l vin
        lassuma l’acqua ’d surfu
        a cui ’d Turin.
    (Castelnuovo)    Nui ’d Castelneuv
        ’n bagna sa piôv
        rumpuma nen la grôia
        per mangè i ôv.
LA FINANZA COMUNALE

Io non so se voi mi conoscete,
ma basta sol che un poco mi guardiate,
son troppo magra… come mi vedete
non son che pelle e ossa appiccicate.
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