Il Card. Giovanni Cagliero Indietro Ritorna a Elenco Racconti
È doveroso dire qualcosa del nostro illustre concittadino per vari motivi: perché a Castelnouvo c’è una piazzetta intitolata al Card. Cagliero; perché è raffigurato nel bronzo che c’è sulla facciata della chiesa dei Santi Castelnovesi; perché ci sono a Castelnuovo tante famiglie Cagliero ed è giusto che se ne facciano vanto.
Ultimo motivo è che egli merita veramente di essere citato tra i Castelnovesi più illustri. C’erano e ci sono in paese molte famiglie Cagliero, tanto che per distinguerle era stato affiancato ad ogni famiglia un sopprannome; eccone alcuni: Pugeul, Gianela, Piuvan, Cisin, Scarpas, Prinsi… e altri ancora, sono tutti Cagliero.
Il Card. Cagliero proveniva appunto dalla famiglia Prinsi, che non erano principi e neppure nobili; erano modesti contadini che abitavano una casa rurale in via Aliberti, in faccia a Giachino.
Giovanni nacque nel 1838 e crebbe vivacissimo, era un monelluccio, ma tanto amato da mamma Teresa. Allora Don Bosco veniva spesso a predicare a Castelnuovo. Dopo la predica dei Santi del 1851 il piccolo Giovanni chiese a Don Bosco di portarlo con lui a Torino per studiare da prete. Il sacerdote ne parlò con la mamma. Le chiese: “Volete vendermi il vostro Giovannino?” rispose mamma Teresa: “As vendu i cinu, i cit as regalu” (si vendono i vitelli, i bambini si regalono).
E Don Bosco lo portò a Torino, lo affidò a mamma Margherita e trovarono un’angolino per lui a Valdocco. Il ragazzo si ambientò, anche se era il più vivace e irrequieto; ma la guida del sacerdote lo plasmò e Giovanni divenne un modello.
Quanti fatti si potrebbero narrare della sua vita all’Oratorio! Lo studio, l’amore per la musica, il suo aiuto a mamma Margherita, la sua amicizia con Michele Rua, l’incontro con un condannato che veniva portato alla forca accompagnato da Don Cafasso, l’arrivo di un nuovo compagno castelnovese Domenico Savio, l’assistenza a Suor Maria Mazzarello morente… (che serie di Santi).
Si fece salesiano e a 24 anni veniva ordinato sacerdote. Don Cagliero era un fenomeno di attività e di progetti. Nel 1875, a 37 anni guidò il primo gruppo di missionari salesiani in Patagonia, zona meridionale dell’Argentina. Sbarcò a Buenos Aires iniziò l’apostolato tra gli emigrati italiani; fondò una parrocchia nel borgo più malfamato della città; aperse innumerevoli chiese, istituti, opere.
Nel 1884 fu nominato Vescovo e Vicario Apostolico della Patagonia. Sua mamma Teresa di 88 anni lo vide ancora con i paramenti da vescovo, poi si spense.
Mons. Cagliero in Patagonia iniziò l’evangelizzazione in massa degli indio, andava a cavallo, lanciava il “lazo”; una vita massacrante a caccia di anime, tra le tribù, sulle montagne, nelle pampas. Cadde da cavallo e si ferì gravemente in un burrone. Piangevano intorno a lui, ma dopo due ore di preghiere, egli rimproverò e li consolò così: “Fe nen le masnà, piurè nen.” (Non fate i bambini, non piangete).
Dalla Pampa Mons. Cagliero corse a Torino. Aveva saputo che Don Bosco era grave. Gli diede l’ultimo bacio il 30 gennaio 1888 e gli recitò le ultime preghiere. All’indomani pianse la sua morte; poi tornò in Sud-America. Tra le allieve di quei collegi c’era la piccola Laura Vicuña, la ragazza argentina che fu beatificata dall’attuale Papa, quando venne qui al Colle Don Bosco nel 1988.
Nel 1915 il Pontefice, imponendogli il cappello cardinalizio, lo trovò stanco. Nel 1926 a 88 anni era ancora vescovo di Frascati, morì in quell’anno.
Nello stesso anno a Torino moriva un altro castelnovese il Can. Allamano. Eccoli perciò vicini nel bronzo nella nostra chiesa dell’Oratorio: uno fu il primo missionario salesiano, l’altro fondò i due ordini dei Missionari della Consolata. Quindi due illustri Castelnovesi nel campo delle missioni.
Durante la sua vecchiaia il Card. Cagliero veniva spesso a Castelnuovo, era ospitato nel collegio salesiano in due camerette, e io allora allievo in quel collegio le ricordo ancora, erano sempre pulite, silenziose, fredde. Quando c’era la visita del Cardinale, gli si preparava una piccola festicciola con canti e recite, eseguite da noi allievi. Ed è appunto in una di queste occasioni nel 1922, quando lui aveva 84 anni, che io dodicenne ebbi l’incarico di cantare in sua presenza la romanza “Il figlio dell’esule” di cui egli era l’autore. È forse il più emozionante ricordo dei miei anni trascorsi nei collegi salesiani. Ricordo però che egli, mentre noi cantavamo e recitavamo, se ne stava impassibile in quella poltrona senza dare alcun segno di gradire o meno quello che si eseguiva davanti a lui. Era vecchio e stanco.
In quelle occasioni era sempre invitato il fratello, il “Prinsi”, un contadino con due bei baffi, era sempre messo a sedere in prima fila.
Nel 1964 la salma del Card. Cagliero, che riposava nel cimitero di Roma, fu richiesta e ottenuta dagli Argentini, che lo avevano stimato e amato. E ora riposa tra gli onori a Viedma, capitale della Patagonia.
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