Il Mulino Indietro Ritorna a Elenco Mail Avanti
Il borgo detto del Mulino ha il suo centro nell’incrocio a “T” formato dalle vie Torino e Chivasso; presso il ristorante Monferrato. Il nome sopravvive ancora, ma il mulino non c’è più. Come tutti i vecchi mulini, anche questo era sorto accanto ad un corso d’acqua, che ne permetteva il funzionamento e di cui ora non c’è più traccia.
Il corso d’acqua si era ricavato con una deviazione e del rio Traversa e passava appunto nel tratto che ora si chiama via Chivasso per entrare nel mulino e rientrare poco dopo nel rio. Ecco perché la via in quel tratto è così ampia, e vi sono ora dei larghi marciapiedi. Son certo che i nostri antenati non avrebbero certamente progettato di lasciare una sede così grande per una strada.
Per molti anni fu l’unico mulino del capoluogo, perciò era frequentatissimo. In quell’ampio cortile selciato sostavano ogni giorno, dal primo mattino fino a sera, tanti carri di contadini che giungevano recando sacchi di grano e ripartivano con la loro farina e la loro crusca. Stavano in attesa del loro turno di macinazione; le mucche aggiogate al carro consumavano la provvista di fieno e ruminavano quanto avevano ingerito; intanto il padrone seguiva tutto l’iter della trasformazione del proprio prodotto.
Era un’operazione che richiedeva il suo tempo, ma per il contadino era l’unico modo per avere la farina bianca da portare al panettiere per avere la farina di meliga per il bestiame e per la polenta.
E poi… i tempi stavano cambiando e anche per il mulino si trattava di rinnovarsi o sparire. È la legge dura del commercio. E si estinse; tanto più che nel frattempo un certo Carossa da Passerano era venuto a impiantare un nuovo mulino dall’altra parte del paese.
Ma torniamo al borgo. Pensiamo sia stata una scelta felice l’installazione delle sedi industriali tra il rio e il cimitero. Sarà stata un’esigenza, ma e pur vero storicamente che il Mulino ha sempre avuto la vocazione industriale e commerciale. Ed ora in quella zona si può constatare un pullulare di officine, laboratori e depositi commerciali.
Al Mulino da lungo tempo c’era il fabbro, il falegname, più di un conducente, e c’era l’unica latteria con piccolo caseificio. Vi è poi sorta l’industria del ghiaccio, dell’acqua gasata, la lavorazione dei vimini, il ristorante; ed oggi vi predomina l’industria meccanica.
Diciamo brevemente qualcosa di queste attività

IL GHIACCIO

Di frigoriferi non si parlava ancora! C’era però già il desiderio ogni estate di avere un po’ di ghiaccio per difendersi dal gran caldo e per conservare i cibi.
La mamma ci dava una borsa e qualche soldino; si andava al Mulino, nel cortile dei Magnone; si scendeva qualche gradino là in fondo e ci si trovava in un locale freddo e umido; c’erano macchine misteriose e tubi rivestiti di ghiaccio. L’operaio incaricato della vendita impugnava un ferro e con esso colpiva il blocco di ghiaccio esposto su un tavolo e ne staccava un pezzo di grandezza equivalente agli spiccioli che offrivamo. E si riportava alla mamma la borsa gocciolante con l’insolito contenuto, che essa usava subito. Questa spesa era fatta nel periodo delle feste (estive, naturalmente) per conservare i piatti preparati nell’occasione.

LA LATTERIA

Era una piccola botteguccia caratteristica che funzionava solo di sera in un piccolo locale oltre il mulino. L’arredamento consisteva in due panche appoggiate alle pareti, due sedie, un peso, qualche bidoncino… I gestori erano gli anziani coniugi Villata: lui Carlo alto e robusto, riceveva le contadine che portavano il latte appena munto, lo pesava, scriveva su un libretto e vuotava il secchio in un recipiente più grande; lei premurosa prendeva i “barachin” degli acquirenti, chiedeva quanto se ne voleva e lo serviva con una misura apposita. Accadeva raramente che giungendo nella botteguccia si trovasse subito latte disponibile; era invece normale sederci su una delle panche con i soldi in una mano e il pentolino dall’altra; e si stava lì tranquilli in attesa che giungesse la contadina con il secchio e ci fosse tanto latte da soddisfare l’esigenza.
Si può dire che nella piccola bottega ci fosse l’appuntamento e lo scambio diretto tra il produttore e il consumatore. Ma la vera provvista di latte la facevano i figli Geniu e Ricu, che ogni mattina dell’anno (compreso Natale e Pasqua) andavano col biroccio l’uno verso Morialdo e l’altro a Nevissano a caricare il latte dei cascinali, facendo tappa nei ritrovi fissi. Geniu ha ripetuto tante volte che ci era andato lo stesso mattino del suo matrimonio. Era un dovere, un rito da compiere assolutamente.
Cose del tempo passato…, ma non da molto, perché quei due anziani conuigi Villata sono i nonni degli attuali Franco, Dario, Carlo, Vittorio, Pino, Gino… E questo è il caso sorprendente, nessuno di essi tratta il latte. È sparito il mulino, la latteria, il burro rinomato… e sono sorte al loro posto le attuali officine e laboratori.

I CAVAGNÈ

Il nome cavagnè ha origine da cavagna (= cesta) ma credo che di ceste non ne abbiano mai fatto. Sarebbe stato assai più appropriato il nome di «cadreghè», perché le sedie sono l’articolo più abbondantemente fabbricato da quei lavoratori.
Quell’attività dava occupazione a parecchi giovani e ragazze e non poche famiglie traevano sostentamento dal lavoro nei laboratori Picollo. Ciò avviene tuttora a Castelnuovo, anche se il nome non è più quello, anche se i laboratori non hanno più tutti la sede al Mulino. Il motivo è che al Mulino lo spazio è limitato e non può ospitare tutte le industrie nate nel borgo. Alcune hanno lasciato il borgo natio per spostarsi in luoghi più aperti e agevoli, adatti comunque alla loro espansione, in luoghi anche più soleggiati, perché il Mulino è stato soprannominato «il borgo freddo». È ancora da stabilire se il soprannome ha avuto origine dalla posizione poco solatia o dal ghiaccio ivi prodotto.

…DALLA MUTINA

Pochi Castelnovesi direbbero «vado a pranzo al ristorante Monferrato», molto più spesso si sente dire «vado dalla Mutina», anche se la signora così denominata è scomparsa da parecchi anni. Risaliamo all’origine di questo soprannome, che è anche la storia del ristorante. In un cortiletto, invero poco felice, lavorava un modesto artigiano, piccolo, bruno, in un fucina anch’essa annerita. Di nome Musso, era chiamato il Mutin.
Era padre di tre figli, una femmina e due maschi, uno di questi, Domenico fu addiritura vicesindaco e, per un po’di tempo, sindaco di Castelnuovo.
La sorella Maria si unì in Matrimonio con Mario Montefameglio. Era questi un rinomato e compito cuoco e cameriere, che svolgeva la sua attività in prevalenza in centri di villeggiatura alpina. Essendo originario del borgo Mulino, non gli mancava l’estro e la vocazione al commercio. Così per sua iniziativa nacque il ristorante Monferrato, in un locale nuovo da lui costruito.
Per qualche tempo Mario continuò a prestare la sua opera nei ristoranti in cui era conosciuto e assai stimato, lasciando nel nuovo ristorante di Castelnuovo la sua Maria, che ebbe in eredità dal padre il soprannome di Mutina.
Il locale ebbe subito fortuna e successo, godeva fama di avere una cucina e un servizio di livello eccellente, con posti sempre contesi da una clientela affezionata.
Rinnomati erano i gelati confezionati in casa e serviti in caratteristici bicchieri. Per i castelnovesi era una gradita passeggiata estiva andare fino al Mulino e gustare il gelato della Mutina. La maggior affluenza al ristorante si aveva nel giorno della festa del Mulino, quando i borghi del paese una volta all’anno facevano festeggiamenti nella propria contrada e le frazioni nei propri prati. Dopo i Montefameglio nel ristorante Monferrato si succedettero parecchi gestori, tutti degni della fama e della rinomanza della Mutina.
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