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Fine del Castello

I Visconti, antica famiglia di parte Ghibellina, tennero la Signoria di Milano dal 1277 al 1477, sostituiti poi dalla famiglia Sforza. Verso la metà del secolo XIV Luchino Visconti aveva esteso la sovranità anche su Parma, Alessandria ed Asti, manifestando interessamento anche nei confronti del nostro territorio fortificato. Ma fu solamente il suo successore Galeazzo Il, il futuro conquistatore di Pavia, nonchè fondatore di quella Università e del castello Visconteo pavese, che salito al potere nel 1354, cercò espansione nella nostra zona monferrina. Perciò l'anno successivo, dopo il passaggio al servizio del Marchese di Monferrato i Castelnovesi dovettero ben presto adattarsi alla nuova soggezione che non si era certo presentata come un fatto semplicemente nominale come in altre occasioni. Ora, esasperati dalle vessazioni di Galeazzo Visconti "che aveva abusato - secondo lo storico Montalenti - del diritto di frodo", vollero punirlo (e punirono sé stessi e noi loro discendenti) procedendo alla demolizione del Castello con le loro stesse mani. Il giorno 29 marzo 1359 assistiamo dunque nella città di Monza alla dedizione di Castelnuovo al Duca Galeazzo lI Visconti. In quella occasione venne confermata l'esenzione del clero e delle parrocchie dal pagamento di oneri e fu concesso il condono delle ingiurie fatte nella distruzione de] castello. Alla nostra popolazione desolata fu tra l'altro imposto l'esonero per un decennio dal partecipare ad atti di guerra, la rinuncia alla ricostruzione del castello e alla erezione di altre fortificazioni. Senza dubbio la demolizione del castello provocò un profondo turbamento fra i cittadini per l'offesa al proprio orgoglio e per il tramonto delle ambizioni di potenza e di gloria dei Signori Oberto e Giovanni Rivalba.

Castelnuovo, posta in una zona di transito fra due territori, fu vittima di quel periodo torbido in cui le città di Asti e di Chieri e del Marchesato di Monferrato, anziché promuovere un'alleanza in difesa delle singole sopravvivenze, sì combattevano fra di loro per imporre la propria supremazia o per vendetta, rappresaglia e invidia, ignorando le norme di buon vicinato. Il più forte del momento assoggettava i più deboli e ne combatteva ogni virtuale possibilità di recare fastidio, ricevendo anzi dai vassalli fedeltà e omaggio.

In quei tempi l'unica, grande e vera ricchezza era la terra, e quando avveniva una conquista, il miglior bottino erano i campi cd terreni più fertili.

Del nostro Castelnuovo, vera rocca di frontiera, presente ormai solo nella fantasia come un sistema di fortificazioni erette in un punto strategico importantissimo, mal visto dai vicini e da loro disputato, fin d'allora non rimasero, oltre la torre, le poche rovine che ancora oggi possiamo scorgere dalla via sottostante. In questo punto culminante della collina da cui il potente feudatario governava l'intero villaggio, ora sorge il santuario della Madonna Assunta, in gran parte ricostruito due secoli or sono, e bisognoso di periodici restauri. L'ultimo tempestivo intervento del 1980 con iniezioni di ingente quantità di calcestruzzo scongiurò la sua rovina.

Dal cortile dell'edificio, che per quasi sessant'anni fu sede del collegio salesiano e in cui taluni ritengono esistesse un'antica sede dei Signori di Castelnuovo, una grande galleria, scavata nel tufo e senza alcun rivestimento, attraversa la collina. Da questo scavo si sale ad altro sotterraneo diviso in più vani. Inoltre pare che una scaletta a chiocciola salga fin sotto l'altare, dov'era forse la segreta del castello. Si vuole ancora che altri sotterranei a scala o in pendenza discendano in varie direzioni nella vallata sottostante.

La fantasia ci ricrea l'ambiente di quell'epoca con i frastuoni di armi, i calpestii ed i nitriti dei cavalli, il lamento dei prigionieri, le grida festose dei vincitori, gli striduli inni guerreschi: tutto ciò in contrasto con l'odierno silenzio che regna oggi all'ombra della torre antica e della Madre Celeste, speranza e conforto di tutti gli afflitti, ispiratrice di pace, serenità e fratellanza.

Un pensiero di riverente riconoscenza giunga in questo momento al compilanto Prevosto don Bartolomeo Calcagno che distribuì a tutte le famiglie della parrocchia la bellissima icona riproducente la pala che domina il marmoreo altare del santurarietto. Nel pregevole dipinto da alcuni attribuito a Rocco Comanedi e da altri al Milocco, la Madonna col Bambino consegna la cintura a Santa Monica e a Sant'Agostino, madre e figlio. Questa immagine è cara a tutti i fedeli che durante le novene fanno risuonare nell'aria le armonie delle lodi, mentre il loro pensiero vola molto indietro nel tempo a ricordare la vittoria di Lepanto (8-10-1571) in cui fu decisa la supremazia cristiana sui turchi e fu istituita la recita del Rosario.

Ma scendiamo le tortuose strade del paese. Contemplando il panorama da sud e da ovest possiamo seguire l'ancora esistente poderosa cinta di mura dell'antica cittadella, riedificata nei secoli seguenti la parte caduta in rovina, e restaurata quella pericolante, a sostegno delle abitazioni.

Come nota dolente sottolineo l'abbattimento avvenuto nel 1955 dell'ultimo arco o portone d'ingresso alla cittadella. Lo scopo fu di agevolare la costruzione del bastione che sorregge il cortile delle nuove Scuole Elementari, nonchè di eliminare la strettoia che causava difficoltà al transito degli automezzi. Il rammarico è grande, anche se si trattava di un ipotetico rifacimento. Un altro portone esisteva in antico alla Fornaca al limite di Via Argentero.

Giova anche ricordare il sito che, specialmente in catasto, conserva ancora la denominazione originale di "Prato della Braida" nei dintorni di Piazza Dante. Esso fungeva da piazza d'armi, ed il popolo vi si esercitava al maneggio delle armi in preparazione delle imprevedibili ma frequenti guerriglie. La gioventù invece vi si dilettava nella ginnastica e nei giochi propri dell'età spensierata.

Almeno un cenno meritano altri castelli minori che nel medioevo facevano corona a quello principale. Oltre a quello di Castiglione esisteva in una zona appartata a mezzogiorno del nostro territorio il castello di Mainito che cessò di esistere da oltre cinque secoli. A ponente c'era quello di Lovencito appartenuto per lunghi periodi ai Signori Rivalba e di cui fino a qualche decennio fa si scorgeva ancora una parte della vecchia torre rotonda. Un quarto castello svettava nella zona ove ora sorge la chiesa della Confraternita di San Bartolomeo (ora sconsacrata). Tutti questi fortilizi ebbero vita effimera: di essi non avanzano che esigui resti, spesso individuabili soltanto dall'occhio esperto dell'archeologo.

Neppure il castello di Mondonio (Mons. Dimmi) ebbe lunga vita. Tra le costruzioni posteriori che circondano il sito, spicca ancora l'antica, rovinosa, massiccia torre quadrata, mentre intorno si intravedono tracce di mura. Tutti questi castelli nel loro insieme giustificano la denominazione di "fortezza di Castelnuovo". Peccato che la presunzione dei Signori Rivalba-Castelnuovo non abbia favorito la sopravvivenza anche da noi di un modesto castello, come in tanti piccoli centri dei dintorni.

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